cerchiamo i LUCI nel mondo
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cerchiamo i LUCI nel mondo
Ciao a tutti vi saremmo grate se qualcuno potesse darci notizie sui LUCI emigrati nel mondo. Inoltre saremmo felici se qualcuno potesse aiutarci a conoscere una pagina rimasta oscura della storia della nostra famiglia nostro nonno LUCI ARMANDO è stato dato per disperso nel naufragio della NOVA SCOTIA nel novembre del 1942 avvenuto nel canale di Monzambico era un dipendente del Ministero della Marina. Noi pensiamo che potrebbe essere naufragato in Sudafrica. Attendiamo con fiducia notizie in merito. Grazie a tutti
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Speriamo che a Settembre qualcuno abbia notizie.............comunque i LUCI che cerchiamo sono di Roma da parte di mio nonno LUCI ARMANDO farista prima a Venezia, poi all'Elba e poi trasferito a Roma e all'Asmara dove era partito con speranze ma catturato e poi naufragato come ho raccontato. Lui era orfano di madre e dall'età di 15 anni si imbarcò come mozzo sulle navi...qualuno dice che discendeva da una famiglia aristocratica inglese, boh......era sposato con una SIMONETTI ed aveva 5 figli. Grazie per l'aiuto, ciao manuela
- Luca.p
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Per togliervi il dubbio potreste cominciare con il chiedere la copia integrale del suo certificato di nascita (data e luogo dovreste conoscerli) e, tramite quello, provare a risalire più indietro (matrimonio dei genitori o loro nascita e così via).manuelarossi ha scritto:...qualuno dice che discendeva da una famiglia aristocratica inglese, boh......
Ciao
Luca
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Sul Nova Scotia si legge quanto segue:
LA TRAGEDIA DELLA NOVA SCOTIA
Nel Cimitero Militare di Hillary, ogni anno i caduti italiani morti in Sudafrica durante la II guerra mondiale vengono commemorati. In questo luogo è stato più volte ricordato anche un episodio bellico nel quale oltre 650 italiani trovarono una morte orribile. Da più di mezzo secolo, questo Cimitero conserva i resti di 120 persone (si ignora se tutti italiani), non meglio identificabili perché mutilati dagli squali e corrosi dalla lunga permanenza in mare, rinvenuti nel lontano 1942 sulle spiagge di Zinkwazi, a 70km a nord di Durban. La spiaggia è tutt’oggi chiamata dai locali Itys Bay (la baia italiana).
In loro memoria è stata innalzata, sulla grossa tomba circolare all’estremità del Cimitero, una stele marmorea donata dai superstiti, allora rifugiati in Mozambico, e raffigurante una colonna spezzata che sorge dai flutti.
"Il 28 novembre 1942 il piroscafo britannico Nova Scotia trasportava prigionieri italiani provenienti dall’Africa Orientale. A bordo erano 769 prigionieri italiani ed alcune centinaia di soldati sudafricani ed inglesi. Compresi i militari di guardia e l’equipaggio, erano presenti in tutto circa 1200 persone.
Dei prigionieri italiani, tutti imbarcati a Massaua il 15 novembre 1942, la maggior parte proveniva dagli equipaggi di navi che la guerra aveva bloccato in Eritrea, come la Tevere, la Colombo, la Mazzini, poi autoaffondate prima dell’occupazione britannica della colonia. Altri erano civili che per un motivo o per l’altro venivano deportati dagli inglesi e diretti nei campi di concentramento in Sudafrica.
Alle ore 7.07 la nave era al largo della costa del Natal e l’arrivo a Durban era previsto al tramonto. La navigazione procedeva prudenzialmente a zig-zag perché in quelle acque erano stati segnalati sommergibili tedeschi.
Ecco l’U-Boat tedesco 177 in agguato…tre siluri, un solo schianto, come se un gigantesco maglio fosse calato sulla nave; una voragine a sinistra, all’altezza delle macchine; torrenti di nafta che dilagavano sull’oceano, le fiamme che esplodevano dal basso, serpeggiavano per le stive, nei corridoi, nei boccaporti, avvolgevano i ponti a prua. Distruzione e morte, urla di feriti, gente che correva non sapendo dove, invocazioni, grida, pianti… L’esplosione squarciò la fiancata e la nave incominciò la sua agonia. Fu dato l’ordine di abbandonare la nave. Scivolarono in mare grosse zattere lungo le fiancate della nave agonizzante, sollevando alti spruzzi, uccidendo quanti si trovavano sulla loro traiettoria. La morte continuava a mietere, i naufraghi pensavano a sopravvivere.
Alle 7.14, appena sette minuti dalla prima esplosione, la Nova Scotia incominciava ad inabissarsi con la poppa alta e le eliche scintillanti al sole. La nave affondava di prua e la murata di poppa era un groviglio di uomini. Come un rullare sordo di tamburi, giungevano le urla, le invocazioni. Poi un gorgoglio forte, un sibilo rauco e anche quell’ultimo ‘grido’ ridotto sparì. Sul primo atto del dramma era sceso il sipario liquido dell’oceano.
Di lì a poco l’U-Boat tedesco venne in superficie e il comandante Robert Gysae immediatamente inviò un dispaccio radio a Berlino perché invitasse forze navali neutrali più prossime (quelle portoghesi) al luogo dell’inabissamento, per disporre urgenti soccorsi. Tutt’intorno c’erano i segni della morte: travi, casse, arance e pane, corpi dai volti violacei. Quattro grandi zatteroni erano gremiti di uomini, altri a decine erano attorno alle piccole zattere con le teste a pelo d’acqua. La nafta aveva patinato i corpi, bruciava le congiuntive, provocando vomiti continui ed estenuanti. Poi le correnti dispersero i naufraghi. Le ore, fino al tardo pomeriggio, trascorsero tranquille, il mare era calmo. Sembrava che lo spettro della morte fosse svanito. La notte tropicale scese fulminea, trapuntata di stelle e da una esile fetta di luna che laminava d’argento l’acqua. Durante la notte il mare si era fatto sempre più grosso: i naufraghi salivano e scendevano tra pareti d’acqua che sembravano le mura di un carcere spaventoso. I più deboli e feriti, man mano che le ore passavano, stremati dalle forze sparivano ad uno ad uno tra i flutti. I superstiti aggrappati agli zatteroni o altro cercavano disperatamente di non farsi vincere dalla stanchezza e occupavano i posti lasciati vuoti dai meno fortunati.
Per tutta la notte del 28 e il giorno del 29 nessun soccorso giunse sul luogo del naufragio e soltanto quando il sole stava per la seconda volta tramontando, dopo le terribili 48 ore trascorse dagli scampati in mare, avvenne il miracolo. La sagoma del cacciatorpediniere portoghese Alfonso de Albuquerque al comando del capitano Josè Augusto Guerreiro de Brito puntò verso i naufraghi e iniziò la frenetica ricerca dei superstiti che si prolungò per tutta la notte.
Il cacciatorpediniere portoghese riuscì a salvare 117 italiani e 64 tra sudafricani ed inglesi. In tutto 181 dei 1200 della Nova Scotia: 652 prigionieri italiani sparirono per sempre tra le verdi acque dell’Oceano Indiano."
L’affondamento della Nova Scotia rappresenta uno dei più crudeli episodi occorsi ai prigionieri italiani nella II guerra mondiale. (Lorenzo Della Martina*-Inform)
http://www.mclink.it/com/inform/art/art_03/03n051a2.htm
LA TRAGEDIA DELLA NOVA SCOTIA
Nel Cimitero Militare di Hillary, ogni anno i caduti italiani morti in Sudafrica durante la II guerra mondiale vengono commemorati. In questo luogo è stato più volte ricordato anche un episodio bellico nel quale oltre 650 italiani trovarono una morte orribile. Da più di mezzo secolo, questo Cimitero conserva i resti di 120 persone (si ignora se tutti italiani), non meglio identificabili perché mutilati dagli squali e corrosi dalla lunga permanenza in mare, rinvenuti nel lontano 1942 sulle spiagge di Zinkwazi, a 70km a nord di Durban. La spiaggia è tutt’oggi chiamata dai locali Itys Bay (la baia italiana).
In loro memoria è stata innalzata, sulla grossa tomba circolare all’estremità del Cimitero, una stele marmorea donata dai superstiti, allora rifugiati in Mozambico, e raffigurante una colonna spezzata che sorge dai flutti.
"Il 28 novembre 1942 il piroscafo britannico Nova Scotia trasportava prigionieri italiani provenienti dall’Africa Orientale. A bordo erano 769 prigionieri italiani ed alcune centinaia di soldati sudafricani ed inglesi. Compresi i militari di guardia e l’equipaggio, erano presenti in tutto circa 1200 persone.
Dei prigionieri italiani, tutti imbarcati a Massaua il 15 novembre 1942, la maggior parte proveniva dagli equipaggi di navi che la guerra aveva bloccato in Eritrea, come la Tevere, la Colombo, la Mazzini, poi autoaffondate prima dell’occupazione britannica della colonia. Altri erano civili che per un motivo o per l’altro venivano deportati dagli inglesi e diretti nei campi di concentramento in Sudafrica.
Alle ore 7.07 la nave era al largo della costa del Natal e l’arrivo a Durban era previsto al tramonto. La navigazione procedeva prudenzialmente a zig-zag perché in quelle acque erano stati segnalati sommergibili tedeschi.
Ecco l’U-Boat tedesco 177 in agguato…tre siluri, un solo schianto, come se un gigantesco maglio fosse calato sulla nave; una voragine a sinistra, all’altezza delle macchine; torrenti di nafta che dilagavano sull’oceano, le fiamme che esplodevano dal basso, serpeggiavano per le stive, nei corridoi, nei boccaporti, avvolgevano i ponti a prua. Distruzione e morte, urla di feriti, gente che correva non sapendo dove, invocazioni, grida, pianti… L’esplosione squarciò la fiancata e la nave incominciò la sua agonia. Fu dato l’ordine di abbandonare la nave. Scivolarono in mare grosse zattere lungo le fiancate della nave agonizzante, sollevando alti spruzzi, uccidendo quanti si trovavano sulla loro traiettoria. La morte continuava a mietere, i naufraghi pensavano a sopravvivere.
Alle 7.14, appena sette minuti dalla prima esplosione, la Nova Scotia incominciava ad inabissarsi con la poppa alta e le eliche scintillanti al sole. La nave affondava di prua e la murata di poppa era un groviglio di uomini. Come un rullare sordo di tamburi, giungevano le urla, le invocazioni. Poi un gorgoglio forte, un sibilo rauco e anche quell’ultimo ‘grido’ ridotto sparì. Sul primo atto del dramma era sceso il sipario liquido dell’oceano.
Di lì a poco l’U-Boat tedesco venne in superficie e il comandante Robert Gysae immediatamente inviò un dispaccio radio a Berlino perché invitasse forze navali neutrali più prossime (quelle portoghesi) al luogo dell’inabissamento, per disporre urgenti soccorsi. Tutt’intorno c’erano i segni della morte: travi, casse, arance e pane, corpi dai volti violacei. Quattro grandi zatteroni erano gremiti di uomini, altri a decine erano attorno alle piccole zattere con le teste a pelo d’acqua. La nafta aveva patinato i corpi, bruciava le congiuntive, provocando vomiti continui ed estenuanti. Poi le correnti dispersero i naufraghi. Le ore, fino al tardo pomeriggio, trascorsero tranquille, il mare era calmo. Sembrava che lo spettro della morte fosse svanito. La notte tropicale scese fulminea, trapuntata di stelle e da una esile fetta di luna che laminava d’argento l’acqua. Durante la notte il mare si era fatto sempre più grosso: i naufraghi salivano e scendevano tra pareti d’acqua che sembravano le mura di un carcere spaventoso. I più deboli e feriti, man mano che le ore passavano, stremati dalle forze sparivano ad uno ad uno tra i flutti. I superstiti aggrappati agli zatteroni o altro cercavano disperatamente di non farsi vincere dalla stanchezza e occupavano i posti lasciati vuoti dai meno fortunati.
Per tutta la notte del 28 e il giorno del 29 nessun soccorso giunse sul luogo del naufragio e soltanto quando il sole stava per la seconda volta tramontando, dopo le terribili 48 ore trascorse dagli scampati in mare, avvenne il miracolo. La sagoma del cacciatorpediniere portoghese Alfonso de Albuquerque al comando del capitano Josè Augusto Guerreiro de Brito puntò verso i naufraghi e iniziò la frenetica ricerca dei superstiti che si prolungò per tutta la notte.
Il cacciatorpediniere portoghese riuscì a salvare 117 italiani e 64 tra sudafricani ed inglesi. In tutto 181 dei 1200 della Nova Scotia: 652 prigionieri italiani sparirono per sempre tra le verdi acque dell’Oceano Indiano."
L’affondamento della Nova Scotia rappresenta uno dei più crudeli episodi occorsi ai prigionieri italiani nella II guerra mondiale. (Lorenzo Della Martina*-Inform)
http://www.mclink.it/com/inform/art/art_03/03n051a2.htm
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