Una cosa è giudicare l'ignoranza di un'epoca e un'altra è giudicare una famiglia che ha agito nel modo in cui chiunque agiva. Come si evince dal mio intervento è assolutamente errato giudicare il comportamento di un singolo senza tener conto del contento in cui quel comportamento è avvenuto. Nella nostra cultura, ad esempio, è preservata l'innocenza delle fanciulle fino alla maggiore età, ma ci sono culture in cui a 11/12 anni i genitori costruiscono per le figlie delle capanne in cui esse possono tranquillamente ricevere le "visite" dei ragazzi. E' sbagliato? Per noi si, per la loro cultura no. Posso giudicare un padre di quella tribù perché fa questo? No, perché egli agisce come la sua cultura agisce. Si può giudicare sbagliata, retrograda, assurda una cultura, ma non si può giudicare il singolo che agisce all'interno di essa, secondo le regole approvate e consolidate, che essa si è data.MauroTrevisan ha scritto: Non posso che dissentire fortemente questa sua affermazione. I giudizi si possono emettere per qualunque epoca e per qualunque situazione.
Spero ora sia più chiaro.
Evidentemente non ha letto tutto il mio intervento o non l'ha letto bene. Non aggiungo altro.MauroTrevisan ha scritto: Spero che lei non stia giustificando un comportamento (che per me è) sbagliato. A prescindere dalle usanze dell'epoca, adesso, spero, sappiamo che quello era un comportamento sbagliato. Giusto?
Una cosa è leggere la lingua vernacolare e un'altra è leggere il latino, il fatto che i sacerdoti sapessero scrivere o leggere non significa che comprendessero il latino. E il 1859 non era di certo in situazione ottimale su questo aspetto. La diffusione della cultura all'interno del clero, infatti, risale solo agli ultimi anni del XIX secolo con l'istituzione dei Circoli Teologici e la revisione dell'insegnamento della teologia (l'insegnamento rimaneva comunque in latino), ma ancora a metà del secolo scorso l'ignoranza era molto diffusa fra il clero, i pochi che avevano veramente una cultura venivano impiegati all'interno delle Curie o diventano Arcipreti (all'epoca per avere il parrocato bisognava fare un concorso con domande di varia natura). Il resto dei sacerdoti si dedicava alla predicazione, ma anche qui non immaginiamo dei sacerdoti "enciclopedici" che sapevano predicare su tutto, semplicemente si specializzavano in alcuni argomenti e venivano chiamati per quelli. Rimane famosa la storia di un sacerdote vissuto a metà del XX secolo dalle mie parti che era specializzato sulla confessione (un quaresimalista potremmo dire) e, chiamato a predicare per la festa di san Giuseppe, ma non sapendo cosa dire (perché comunque non capiva nemmeno cosa aveva letto nel Vangelo in latino), iniziò la predica dicendo: "Cari figlioli, oggi è la festa di san Giuseppe, voi sapete che san Giuseppe era un falegname e, come vedete, i confessionali sono fatti di legno. Proprio della confessione vi parlerò oggi...".MauroTrevisan ha scritto: Non dimentichiamoci che i sacerdoti sapevano anche scrivere, a differenza di tanti altri, e potevano così anche leggere e avere una cultura più alta. .
Ovviamente a livello percentuale la situazione variava, sicuramente a Roma c'erano più sacerdoti acculturati, mentre nello sperduto paesino dell'Aspromonte, andava bene se l'arciprete riusciva a gestire le questioni canoniche minimali.
Non si può fare di tutta l'erba un fascio, su questo non c'è dubbio, ma non dobbiamo dimenticare che la cultura nell'ampiezza e nella diffusione, con cui la conosciamo oggi, si diffonde in Italia solo dopo la II Guerra Mondiale (esisteva all'epoca un programma televisivo per insegnare a leggere e scrivere!).
E la famosa frase "la cultura era in mano alla Chiesa" non significa affatto che tutti gli ecclesiastici erano acculturati, ma semplicemente che le scuole era gestite da ecclesiastici.